Descrizione prodotto
Collana diretta da Pasquino Crupi
10 volumi dedicati a 10 autori meridionalisti del secolo scorso, racchiusi in un pratico cofanetto. Questa la composizione dell’opera:
Le lettere meridionali di Pasquale Villari segnano l’atto di nascita, nel 1875, del meridionalismo liberale, cioè d’un pensiero alto, che tende a vedere la questione sociale come questione meridionale e la questione meridionale non mai come questione criminale: da non affrontare, come era stato fatto, con la cura del ferro e del fuoco, con tribunali speciali, con leggi eccezionali. Il nome di Pasquale Turiello risuona alto e tempestosamente non canonico nel campo del meridionalismo con i due saggi Governo e Governati in Italia (1882) e Il secolo XIX. Studio politico sociale (1902). Il profilo meridionalista di Napoleone Colajanni emerge nell’arduo cimento per strappare al popolo meridionale il marchio, sempre ricorrente, di razza maledetta e degenerata dal sangue, dal clima, dal territorio. Non ci fu chi, più del Colajanni, continuò sino all’ultimo dei suoi giorni la battaglia di idee per un Mezzogiorno, che nelle sue tradizioni migliori fu alto, colto, promotore di libertà e di giustizia. Tutto il suo pensiero di meridionale e di meridionalista fu ordinato da questo principio: è il fattore politico, cioè la classe dirigente, che ha determinato le condizioni d’inferiorità del Mezzogiorno, ed è da queste condizioni d’inferiorità, non dal clima, non dalla razza, che la mafia nasce, si afferma, si potenzia. Ettore Ciccotti spicca nel campo del pensiero meridionalista come astro di assoluta grandezza per avere indagato, lui primo fra tutti, la questione meridionale con gli strumenti critici del materialismo storico, ponendo, cioè, al centro l’analisi della struttura economica come fattore determinante la sua inferiorità. Non vi sono altre spiegazioni al di fuori della spiegazione economica. E non c’è dubbio che la questione meridionale è una questione anticapitalista, la questione del superamento del capitalismo. Poiché – scrive Ettore Ciccotti – è con il “tramonto dell’era capitalistica [che] scompariranno i caratteri degenerativi del Mezzogiorno”. Tale la sua opera Sulla questione meridionale (1904). Meridionalista di alto profilo, denunciò, documentò, dispiegò le ragioni della coesistenza di due Italie dispari, e individuò la ragione dell’inferiorità del Mezzogiorno nel fatto che esso è “naturalmente povero”. Talché la questione meridionale “è quella, puramente e semplicemente, di un paese che dalla geografia e dalla storia fu per secoli condannato alla miseria”. Questa la scoperta fondamentale di Giustino Fortunato nel suo splendido saggio del 1904, La questione meridionale e la riforma tributaria. E questa sua scoperta lo induceva ad un pessimismo che non può certamente essere negato, ma che altrettanto certamente è mitigato dalla fiducia che dalla miseria economica e dalla miseria morale il Mezzogiorno poteva essere redento “dall’unità politica, mossa dal sentimento nazionale della comune difesa”. Con Francesco Saverio Nitti la questione meridionale tende a liberarsi dalla cappa gracchista che ne faceva una questione esclusivamente contadina.
Il Risorgimento italiano – argomenta Guido Dorso ne La rivoluzione meridionale – non fu che il risultato della conquista regia e di un compromesso tra forze politiche di ispirazione diversa. E, purtroppo, la storia successiva dell’Italia fino al fascismo, alla caduta del fascismo, dopo il fascismo è tutta segnata da compromessi “continui con i ceti dominanti […] da un lato, e l’eviramento delle avanguardie rivoluzionarie mercé le transazioni personali con i capi dall’altro”. Per Gaetano Salvemini, che irrompe nel dibattito meridionalista con il piglio del moschettiere, non ci sono che le due vie complementari del suffragio universale e del federalismo come leve per liberare il Mezzogiorno dalla sua condizione di colonia. Nel dopoguerra, pur conservando ancora la fiducia nel suffragio universale, rettificò il suo federalismo estremo. Rettificò anche le sue idee sul risveglio e il risollevamento del Mezzogiorno, pensati negli anni suoi giovani come opera del proletariato rurale del Sud con guide illuminate nel proletariato del Nord, cioè nei socialisti settentrionali. Non fu che un’illusione. Il vero, secondo il Salvemini postfascismo, è che l’Italia meridionale non può «fare da sé» e, dunque, “l’aiuto dei settentrionali è la sola via che si possa battere. E quando c’è una sola via, quella è la migliore”. Un’altra illusione. La questione meridionale è la bussola politica e culturale di Luigi Sturzo per il presente, l’avvenire, e fino alla morte. Antonio Gramsci cominciò a scrivere l’intenso saggio Di alcuni temi della Quistione meridionale nei primi mesi del 1926 e non gli poté dare forma definitiva perché l’8 novembre dello stesso anno fu arrestato. Con Alcuni temi della quistione meridionale il campo del meridionalismo si slarga. La fase del meridionalismo liberal-conservatore e del meridionalismo riformista è chiusa dalla accelerazione gramsciana verso la rivoluzione italiana, che troverebbe il suo inverarsi nell’alleanza politica tra operai del Nord e contadini del Sud. Ciò che non accadde. Resta, comunque, sempre attuale l’idea del Sud come una grande disgregazione sociale, affiancata dalla disgregazione dell’intellettualità meridionale.
Il Mezzogiorno non era il “Regno della più oscura barbarie”: così scriveva la torinese «Gazzetta del Popolo» e intento del Villari fu quello di “provare che la camorra, il brigantaggio, la mafia sono la conseguenza logica, naturale, necessaria di un certo stato sociale, senza modificare il quale è inutile sperare di poter distruggere quei mali”.
Sante parole, attuali e inascoltate.
Sono le opere con le quali il grande pensatore napoletano tiene a battesimo il meridionalismo colonialista, che lega la soluzione della questione meridionale, intesa come questione contadina, ad una energica politica di conquiste coloniali, e individua nel parlamentarismo, luogo di transito al trasformismo e alle clientele, la piaga morale e mortale della classe dirigente italiana e meridionale.
Non è tutta qui la battaglia di Pasquale Turiello. Il colonialismo meridionalista non è che un lato. L’altro è quello che affonda lo sguardo nel trasformismo e nel clientelismo delle classi dirigenti, ed è ciò che fa la attualità permanente del meridionalista napoletano.
Ed è merito grande.
Merito più grande ancora del Nitti fu quello di avere fatto a pezzi il dogma, forgiato sull’incudine della menzogna calcolata, di un Mezzogiorno, palla di piombo al piede dell’Italia, e divoratore e consumatore a spese del Nord. Ma il vero colpo d’ala del Nitti consistette nell’individuazione della questione meridionale non più come questione contadina, ma come questione industriale. Poiché non può darsi un Sud produttivo senza puntare all’industrializzazione del Mezzogiorno. Non è a dire che i terroni debbano scendere in città, ma è dalle città, dalla maggiore città del Mezzogiorno, Napoli, e dalla loro industrializzazione che bisogna partire per agganciare la locomotiva del Nord. Inascoltato.[/tab]
Dunque, il riscatto del Mezzogiorno non potrà avvenire ad opera dei partiti unitari, tutti compromessi. La questione meridionale avrebbe trovato il suo snodo liberatore nella formazione di un partito autonomo d’intellettuali e contadini. Convinto, sempre più convinto negli anni avvenire, Guido Dorso che la “rivoluzione italiana o sarà meridionale o non sarà”.
Fu regionalista e federalista convinto.
Nella fase prima del suo meridionalismo Luigi Sturzo pensò la questione meridionale come questione agraria: qui un Mezzogiorno contadino, lì un Nord industriale; qui un Mezzogiorno che doveva avere il suo sbocco nell’area del Mediterraneo, lì un Nord incastrato in Europa.
Nella fase seconda del suo meridionalismo egli accolse l’idea che il risorgimento del Mezzogiorno e della sua Sicilia doveva necessariamente passare attraverso l’industrializzazione intensificata: industrie di trasformazione, ma anche industrie industrie chimiche, meccaniche, tessili. Non aveva dubbi Luigi Sturzo che, con i governi del secondo dopoguerra, finalmente era arrivata l’ora dell’industrializzazione, la quale, accompagnata alla ripresa e al risanamento dell’agricoltura, avrebbe fatto entrare la Questione meridionale nella fase della sua soluzione. La replica dei fatti è stata dura. La questione meridionale non è stata risolta. Anzi, s’è aggravata, e addirittura viene negata.
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