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Nicola Giunta è generalmente considerato uno dei maggiori rappresentanti della poesia vernacolare reggina.
Uso l’aggettivo vernacolare al posto di dialettale perché i due termini, sebbene siano sinonimi e vengano spesso sovrapposti l’uno all’altro, hanno una sostanziale sfumatura di significato: il dialetto è la lingua di una collettività circoscritta, che serve ad affrontare tutti i momenti della vita, dalla nascita al battesimo e al matrimonio, dal lavoro, alle relazioni e alla morte; è, in sostanza, la lingua del popolo; il vernacolo invece si serve della lingua dialettale solo in determinate circostanze (la festa, la commedia, l’opera letteraria in genere) anche per dileggiare il popolo, spesso attraverso l’esagerazione, l’allusione e il doppio senso.
Di fondo, comunque, dialetto e vernacolo hanno lo stesso tipo di lingua.
Ora, una lingua è costituita da una serie di regole, di convenzioni, di ciò che comunemente chiamiamo “grammatica”.
Se tali regole e convenzioni risultano sempre codificate per la lingua nazionale (l’italiano ad esempio) non lo sono spesso per un dialetto e ciò per diverse ragioni: è una lingua essenzialmente orale; è ricco di sfumature fonetiche che ne rendono più complessa la trascrizione; è una lingua geograficamente molto limitata, la qual cosa per certi versi scoraggia e non induce a darle una sistematizzazione e codificazione.
Per quanto riguarda il dialetto di Reggio Calabria, o reggino in generale (basta uscire dalla città per sentire differenze di pronuncia e di costrutto) la produzione dialettale si basa essenzialmente su dizionari (tutti dal reggino in italiano), raccolte di detti e proverbi, massime, poesie, commedie.
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